Nell’epoca dove il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si reca in cina per stringere accordi commerciali tra l’ #Italia e la Cina, qualcuno inizia a domandare al futuro, ovvero agli studenti, come ridurre le distanze tra i nostri due paesi, fisicamente molto lontani tra loro. Sempre più importante il ruolo dell’export management in outsourcing.
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“Le relazioni tra Italia e Cina hanno molti spazi di crescita e noi vogliamo coltivarli. Vogliamo far crescere la collaborazione tra i due Paesi”
Sergio Mattarella

Da www.huffingtonpost.it
Sempre più frequentemente imprenditori e aziende cinesi investono all’estero e sempre più frequentemente acquisiscono marchi internazionali. In Italia, per esempio, marchi come Pirelli, Krizia, Miss Sixty e Cerruti 1881 (oltre naturalmente a Inter e Milan) sono oggi realtà di proprietà cinese.

Dal 2015 la Cina è infatti un esportatore netto di capitali all’estero: “170 VS 126, gli investimenti diretti esteri in uscita e in entrata, in miliardi di dollari Usa”.

Nel 2017 anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è stato in Cina per una visita di Stato per siglare importanti accordi bilaterali economici e culturali. Durante la visita è stato naturalmente menzionato anche il progetto cinese Bri (Belt and Road Initiative, inizialmente detto OBOR – One Belt One Road): un’enorme rete infrastrutturale marittima e terrestre che ricalca più o meno la vecchia Via della Seta, accompagnata da investimenti cinesi nei paesi attraversati.

La produttività cinese è incentivata da progetti che favoriscono l’avanzamento tecnologico e puntano alla promozione dell’innovazione “Made in China”, con l’obiettivo di diventare entro il 2020 un “Paese innovativo” e entro il 2050 “leader nella tecnologia”.

E proprio la tecnologia è uno dei motivi principali di interessamento alla Cina da parte dei giovani italiani, che sono stati chiamati a riflettere su questo paese all’interno dell’Osservatorio Nazionale sull’Internazionalizzazione delle scuole superiori e la mobilità studentesca, progettato e curato da Fondazione Intercultura con la collaborazione di Ipsos (attraverso questionari compilati online sono stati intervistati 501 studenti delle scuole secondarie tra i 14 e i 19 anni e 112 ex-partecipanti a programmi di mobilità in Cina con Intercultura. Sono inoltre stati coinvolti – via web, telefonicamente o tramite un’analisi desk – oltre 3500 istituti secondari di II grado, di cui 159 hanno approfondito il tema dell’insegnamento del cinese e delle attività volte all’internazionalizzazione verso la Cina).

Ancora nel 2017 gli adolescenti italiani dichiarano di non avere molte occasioni di contatto con la Cina e la sua cultura (al di fuori di ristoranti o altre attività commerciali), ma sarebbero interessati a comprenderne meglio aspetti quali innovazione, tecnologia e stile di vita. Infatti, nonostante la scarsa conoscenza diretta, l’immagine che in Italia i giovani hanno della Cina è per lo più positiva (66%): un paese dinamico e con una forte cultura, in cui convivono tradizione e progresso.

Non vi sono solo tratti positivi nell’immaginario dei ragazzi, ma anche molti aspetti critici: inquinamento, caos, poca libertà e democrazia sono i principali. La Cina è percepita come un paese culturalmente distante dall’Italia, oltre a essere lontano geograficamente e linguisticamente: e l’adolescenza è un’età in cui la “lontananza” spaventa particolarmente.

Tuttavia, nonostante la scarsa conoscenza e i timori che i giovani esprimono, quasi un terzo si dichiara disponibile a fare una esperienza di studio in Cina durante le scuole superiori.

Perché gli ostacoli si superano e le barriere possono essere trasformate in opportunità di crescita e trampolini di lancio verso il futuro.

Grazie al sostegno della famiglia e delle organizzazioni che promuovono i programmi di mobilità studentesca, gli studenti possono superare i pregiudizi e le paure che inibiscono il desiderio di partire o li frenano al momento di scegliere effettivamente la Cina come destinazione per un’esperienza di mobilità studentesca: parola di chi a studiare in Cina durante le scuole superiori ci è già stato.

E, sebbene la distanza geografica non possa essere ridotta, il Sistema Scolastico italiano può contribuire a ridurre le barriere linguistiche tra i giovani italiani e i loro coetanei cinesi. A oggi risulta che nell’8% degli istituti secondari di II grado si insegni cinese (a livello curriculare o extra): ci aspettiamo che tra qualche anno questo dato sarà più elevato.

(Questo post su Huffington Post è stato scritto insieme a Lucia Spadaccini)

 

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